Commento
Questa poesia del Di Martino richiama l’attenzione su idee e concetti che a prima vista sono inappropriati, inaspettati, ma in realtà rivelano ciò che in profondità è la verità. Proprio questo sorprenderci, insieme al ritmo naturale del linguaggio, ci costringe – ma è una costrizione utile, educativa – a rallentare il ritmo della lettura, soffermarci, e quindi immergerci, almeno un po’, in ciò che egli ha voluto comunicare.
Già il primo rigo ci sorprende:
…i frastuoni degl’intimi silenzi…
Il silenzio è il contrario di frastuono, ma qui è proprio il silenzio della notte ad essere presentato come frastuono, mentre l’alba, che solitamente è l’inizio dei suoni, qui è invece ciò che aiuta ad acquietarsi. Come non pensare al quadro di Van Gogh “Notte stellata”? In quel quadro i vorticosi movimenti dipinti nel cielo mostrano che la notte è tutt’altro che calma; la notte è il momento in cui i sogni più inquieti, o anche le bellezze più coinvolgenti, tolgono silenzio al nostro cuore e lo rendono movimentato, inquieto, ribelle, sognante. Ai sogni non possiamo dire “Calmatevi, fate silenzio!”. È il risveglio, è l’alba a permetterci di acquietare questo frastuono, che ogni notte impegna nel segreto la nostra anima, con i nostri sogni. Questa percezione del sonno che è in realtà il momento di rivelazione delle nostre inquietudini si trova anche all’inizio del romanzo “Alla ricerca del tempo perduto”, di Marcel Proust. Sia la “Notte stellata” che “Alla ricerca del tempo perduto” sono tra i più grandi capolavori mai creati in tutto il mondo e il Di Martino li ha indirettamente citati in questo primo rigo.
Per capire bene l’intenzione della poesia è utile notare i riferimenti ai cinque sensi: quattro vengono proposti all’attenzione, ma uno viene invece negato in continuazione, perché solo così si può essere aiutati ad entrare nell’intimità. Abbiamo così l’udito, che però è sempre un udire figurato, mai reale:
…i frastuoni degl’intimi silenzi…
…dentro queste orecchie…
…in basso alla caciara…
L’olfatto:
…vaporoso il lezzo del proprio dolore…
Il tatto, anch’esso però ricondotto a qualcosa di interiore, qualcosa che non sta sulla superficie della pelle, ma al di sotto di essa:
…dentro queste mani…
Il gusto:
…dentro questa bocca…
anch’esso non riferito a sapori veri e propri, ma come rinvio a un sentimento interiore.
La vista invece viene negata, perché è proprio quella che creerebbe distrazione:
il cardellino è
…beatamente cieco…
e alla fine
…tutto il resto ciecamente sarà.
Gli orizzonti non vengono visualizzati, ma, al contrario, perduti:
…la voglia perde i dettagli dell’orizzonte…
Questo richiamo all’interiorità si trova anche nell’insistenza (sei volte) su ciò che è dentro le percezioni, che altrimenti diventano sorgente di superficialità:
…Dentro questi sensi…
…dentro queste orecchie…
…dentro questi occhi…
…dentro queste mani…
…dentro questa bocca…
…dentro ogni domani…
Così il bagolaro, che in teoria sarebbe un richiamo all’esteriorità dell’albero, diventa invece sorgente di un sussurrare triste. Le bagole, i “milicucchi”, marciscono ai suoi piedi e qui non sono sorgente di speranza per la nuova vita che potrebbero dare come semi, ma soltanto di perdita.
Più avanti, i pensieri si svolgono
…dentro queste orecchie…
Il richiamo è al frastuono della notte di cui ancora rimangono gli echi e che condiziona i nuovi pensieri che cominciano a sorgere al mattino, ancora mescolati con i residui dei sogni e delle emozioni notturne.
In questo contesto di intimità travagliata e di vita vissuta, la speranza, che comunemente associamo alla luce, o alla primavera, qui è associata all’ombra e all’autunno:
…sotto l’autunnale ombra della speranza…
Non si tratta di morte, perché è pur sempre speranza, ma è la speranza vera, di chi ha vissuto e non vive di illusioni romantiche.
Allo stesso modo, anche il cardellino non è sorgente di gaiezza, ma canta un’intimità che intravediamo dietro i suoi occhi neri, che ci sembrano senza pupille, come se fossero ciechi, quindi occhi che rinviano all’intimo, invece che richiamarci al vedere le cose esteriori:
…dal canto d’un cardellino beatamente cieco…
La catarsi significa purificazione e anche qui non si tratta di purificazione che accende nuova vita, ma educazione dell’animo ad abituarsi ad assaporare l’essere adulti, adulti che sono stati disillusi e proprio in questo modo hanno cominciato a vedere la positività vera, la vita vera, che consiste nel contemplare le esperienze del passato e le sensazioni intime del presente.
Questo contemplare è la
…traslata disamina di questa carne…
cioè la meditazione su ciò che il nostro corpo, la nostra mente e le nostre emozioni ci fanno sentire.
Non è un contemplare paesaggi, ma al contrario, è un contemplare nascosto, da andare a scovare
…tra le trame dei risvolti…
e perfino negazione di sé stesso:
…non riporta essoteriche riconoscenze…
“Essoterico” significa “esteriore”, “pubblico”, quindi le essoteriche riconoscenze sono quando contempli un paesaggio con gli occhi. Qui questo viene negato: si tratta di contemplazione del tuo intimo. Qualunque cosa esterna viene forzata in questa poesia a funzionare come indirizzamento verso l’interno.
Nel non sentirsi figlio
…in chi non s’è sentito anche figlio…
ci possono essere riferimenti personali, ma c’è anche un riferimento più universale. Tutti in questo mondo siamo destinati a vivere non solo il nostro essere figli, che è la cosa più ovvia e superficiale, ma anche la negazione di questo essere figli, per tanti motivi. Un motivo profondo e comune può essere considerato l’esperienza, che prima o poi tutti facciamo, di separazione dalla realtà, dal mondo, dalla società, un’esperienza che a volte diventa tanto più struggente quanto più ci troviamo in mezzo agli altri e perfino onorati e celebrati dagli altri. Trovo un riferimento molto simile nel film “Il Vangelo secondo Matteo”, di Pier Paolo Pasolini, in cui, proprio nel momento in cui Gesù bambino si trova in braccio a sua madre e viene riverito dai re magi, proprio in quel momento c’è in sottofondo la bellissima voce di Odetta che canta “Sometimes I feel like a motherless child”, “Certe volte mi sento come un bambino senza mamma”.
Il cardellino cieco è in parallelo al bagolaro: entrambi sono “silenziati” e fatti funzionare come rinvio all’invisibile, al cuore.
La lacrima
…stilla spontanea…
rischiava di essere anch’essa un elemento a rischio di esteriorità, e allora l’attenzione viene immediatamente ricondotta con forza a
…l’onta dell’anima stuprata…
C’è rabbia e odio in queste parole: sia l’onta che lo stupro, come anche le iene più avanti, sono eventi che richiamano voglia di vendetta, ma ormai il poeta è abbastanza cresciuto per sapere che la vendetta è anch’essa superficialità e non fa altro che distogliere dalla vera vita, che è quella intima. Allora la rabbia viene intenerita da questa lacrima e la lacrima diventa tempo che disseta:
…si raccolgono gocce di tempo
che dissetano…
Il tempo disseta perché è attraverso di esso che abbiamo la possibilità di trovare raccoglimento, meditazione, vita interiore. In questo contesto il poeta si sente un leone, leone non come re della foresta, ma leone da assomigliare all’idea di vecchio lupo di mare, che ha fatto esperienze di vita e sa molto bene che la direzione da seguire è quella verso l’intimo, non quella verso l’esteriorità, verso cui le iene cercano di distrarti:
…l’invecchiato leone appetito alle iene…
A questo punto ciò che segue è logico: i dettagli dell’orizzonte
…Oggi la voglia perde i dettagli dell’orizzonte…
si devono perdere, è d’obbligo, altrimenti l’orizzonte diventa motivo di superficialità e distrazione. Credo che questo si trovi rappresentato anche dall’immagine che il Di Martino ha scelto per la sua poesia: c’è un orizzonte, ma in realtà ciò che davvero invade l’immagine è quella panca vuota, che proprio perché vuota è capace di farsi sentire come più piena che mai, strapiena di contemplazione interna, di silenzio. Di conseguenza, questa voglia che perde i dettagli dell’orizzonte non è una voglia che viene sconfitta da questa perdita, ma è una voglia da leone che ha fatto esperienza e sa che i dettagli devono essere perduti, altrimenti si perde di vista la direzione verso l’interiorità.
In questo contesto la
…caciara del buio sull’uscio…
se intendo bene, è lo stesso frastuono degli intimi silenzi menzionato al primo rigo della poesia, come a dire: il poeta si è alzato, è uscito di camera, guarda alla porta della camera da letto e sa che da lì dentro si affaccia già il buio rumoroso della prossima notte, dei prossimi sogni irrequieti. Ora però sappiamo che tutto ciò è vita, la vera vita, e la mente sa che deve illanguidire, così come sapeva che doveva perdere i dettagli dell’orizzonte:
…la mente illanguidisce cercando le giuste pillole…
Il corpo, come elemento esteriore, ha una naturale resistenza contro l’intimità, suda, si trova in disagio.
…col corpo che suda il disagio dell’abisso, silenzioso,…
Il poeta addirittura ci presenta questo disagio in maniera particolarmente dolorosa, direi violenta, richiamando al desiderio primordiale del nostro essere bambini, neonati, desiderio di una tetta da succhiare, di qualunque cosa da mettere in bocca, quel desiderio di mettere cose in bocca da cui a volte si fa fatica a distogliere i bambini affinché crescano:
…dentro questa bocca,
l’infantile bramosia d’affetto fa dimora…
La conclusione della poesia descrive l’alternanza tra notte e giorno. Al risveglio, dopo i residui dei frastuoni notturni che hanno fatto scrivere al Di Martino questa poesia, le lacrime perdono la loro connessione con l’intimità, si riducono a elemento liquido senza significato, sono diventate lacrime incoscienti,
…E così, ritornano al grande oceano lacrime incoscienti,…
Il loro vero significato è andato a perdersi nel grande oceano inconscio, come quando al mattino ricordiamo qualche sogno, ma poi questa memoria va inesorabilmente a perdersi, sopraffatta dalle occupazioni della giornata.
Alla fine, quindi,
…tutto il resto ciecamente sarà…
viene ad assumere un doppio significato.
C’è la cecità della vita durante la giornata, in cui ci immergiamo nelle cose superficiali e siamo ciechi riguardo a tutta la vita interiore che si era rivelata nella notte. C’è però anche la cecità positiva della notte, quando siamo ciechi perché abbiamo gli occhi chiusi, non siamo consapevoli della realtà, dormiamo, sogniamo, ma proprio in questo modo apriamo nuovi occhi sul mondo intimo, movimentato, strapieno di vita, turbinoso, delle nostre emozioni più nascoste.
Testo della poesia
Quando l’alba quieta i frastuoni degl’intimi silenzi,
giunge mesto il fruscio dell’amico bagolaro
e vaporoso il lezzo del proprio dolore
per l’amate figlie ai suoi piedi,
mentre, dentro queste orecchie,
pensieri conversano di circostanze
sotto l’autunnale ombra della speranza.
È tra le trame dei risvolti,
benché le stagioni tornino sempre di nuovo,
che qualunque traslata disamina di questa carne
non riporta essoteriche riconoscenze
in chi non s’è sentito anche figlio.
Adesso, dal canto d’un cardellino beatamente cieco,
dentro questi occhi,
la rugiadosa catarsi d’una stilla spontanea
inumidisce l’onta dell’anima stuprata,
e, dentro queste mani,
si raccolgono gocce di tempo
che dissetano l’invecchiato leone appetito alle iene.
Oggi la voglia perde i dettagli dell’orizzonte
in basso alla caciara del buio sull’uscio,
la mente illanguidisce cercando le giuste pillole
col corpo che suda il disagio dell’abisso, silenzioso,
quando, dentro questa bocca,
l’infantile bramosia d’affetto fa dimora.
E così, ritornano al grande oceano lacrime incoscienti,
in fondo, dentro ogni domani, oltre intimi sensi,
tutto il resto ciecamente sarà.
Ringrazio Angelo per questo suo commento al mio scritto.
Rimango piacevolmente sorpreso dal risultato della sua meditazione e piacevolmente compiaciuto dal fatto che un mio scritto abbia potuto incuriosire e proporre tale meditazione.
Non mi permetto di rettificare od invitare alla correzione, perché ciascuno è libero nella propria interpretazione e quanto esposto è meraviglioso e interessante.
Grazie Angelo per la tua cortese attenzione e complimenti per il tuo ragionamento.
Ciao, a presto.